ll Rapporto Sanità è una iniziativa nata nel 2003 presso l’Università di Roma “Tor Vergata”, con lo scopo di diffondere attività di ricerca intraprese nel campo dell’economia, politica e management sanitario e, allo stesso tempo, fornire elementi di valutazione sulle performance del sistema sanitario e sulle sue prospettive future, alimentando un dibattito fra gli addetti al settore, ivi compresi cittadini, professionisti e mondo industriale.

L’iniziativa si concretizza con la pubblicazione annuale di un Volume, reso disponibile anche on line.

La presente edizione adotta la struttura consolidatasi negli anni, comprensiva di key indicators regionali per ogni area trattata, sintesi in inglese di ogni capitolo e riepiloghi regionali per un set di indicatori selezionati dai curatori del Rapporto.

Quest’anno il Rapporto si concentra sui lasciti della pandemia e sulle prospettive future del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), anche alla luce del PNRR e della perdurante carenza di risorse correnti.

In particolare, sono stati sviluppati tre focus:

  1. finanziamento e sostenibilità, tema strategico alla luce del superamento della fase pandemica
  2. equità e la funzione del servizio pubblico
  3. politiche di gestione delle risorse umane.

Abstract

Dalle analisi sviluppate dal Rapporto emerge che al finanziamento della sanità pubblica italiana mancano almeno 50 miliardi (al minimo) per avere un’incidenza media sul PIL analoga agli altri paesi EU. Rispetto ai quali la spesa sanitaria del nostro Paese registra una forbice del -39% circa (-12% di spesa privata e -44% circa di spesa pubblica). Per recuperare il passo degli altri Paesi servirebbe quindi una crescita annua del finanziamento di 10 miliardi di euro per anno per 5 anni, più quanto necessario per garantire la stessa crescita degli altri Paesi europei presi a riferimento ovvero altri 5 miliardi di euro. Per trovare risorse, la ricetta è “crescere per non selezionare”, per mantenere cioè un servizio sanitario nazionale universalistico e non essere costretti a un “universalismo selettivo” e mantenere equità di accesso è necessario far crescere il PIL.

Non va meglio rispetto a un altro allarme, lanciato di recente anche dalle Regioni: la carenza di personale, per il quale l’Italia dovrebbe investire 30,5 miliardi di euro se volesse allinearsi agli organici di professionisti sanitari dei Paesi EU di riferimento, senza tenere conto del maggiore bisogno derivante dall’età media più alta della popolazione.

Questo perché, sempre rispetto alle medie EU, in Italia, i medici ogni 1.000 abitanti sono sì un po’ di più, ma se si considera la popolazione over 75 ne potrebbero mancare circa 30mila e per il riequilibrio se ne dovrebbero assumere almeno 15mila ogni anno per i prossimi 10

anni, mettendo in conto le dinamiche annuali di pensionamento (circa 12mila l’anno, essendo in media più anziani).

La carenza di infermieri è anche più grave: supera le 250mila unità rispetto ai parametri EU e, comunque, solo per il nuovo modello disegnato dal PNRR ne servirebbero 40-80.000 in più. In questo caso, di nuovi infermieri ne servirebbero 30-40.000 l’anno (anche qui considerando il numero di pensionati/anno: circa 9mila), numero irraggiungibile anche perché la propensione a intraprendere la professione in Italia (scarsa attrattività legata sia a questioni economiche che di carriera) è un terzo che negli altri Paesi EU.

La struttura del Rapporto rimane quella consolidatasi negli anni.

Info

Anno
2022

A cura di
Federico Spandonaro, Daniela d’Angela, Barbara Polistena

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